Catene globali di approvvigionamento: La molteplicità dei fattori implica che le interruzioni potrebbero proseguire fino al 2023
Punti salienti
- Le interruzioni delle catene globali di approvvigionamento dovrebbero ridursi gradualmente ma potrebbero durare fino al 2023.
- Sono in gioco una molteplicità di fattori, dai lockdown indotti dal Covid-19 alle condizioni climatiche.
- Domanda e offerta presentano un forte squilibrio.
- Nel frattempo, i prezzi delle materie prime e i costi di spedizione aumentano vertiginosamente.
- Alcuni settori risentono della situazione (vedi automotive e costruzioni), altri invece ne traggono vantaggio (vedi semiconduttori).
Catena globale di approvvigionamento sotto pressione
Quando la pandemia da Covid-19 paralizzò il commercio internazionale, bloccando le catene di approvvigionamento, si pensò che le interruzioni delle filiere globali di produzione e distribuzione sarebbero state temporanee. Tuttavia, continuano a gettare scompiglio in molti settori. Le difficoltà sorgono da una combinazione di fattori, alcuni temporanei, altri strutturali.
La domanda sul lato del consumo c’è….
Con la riapertura delle economie, la domanda globale ha ripreso quota rapidamente, in parte grazie ai risparmi accumulati durante la pandemia, alle politiche monetarie e fiscali molto accomodanti e agli ingenti piani di ripresa messi in atto nel mondo, con l’obiettivo di focalizzarsi in particolare sulla transizione ecologica, che consuma moltissimi metalli, legno ed energia (più gas e meno carbone). Sul fronte dei consumi, molti dati evidenziano il recente aumento della domanda al consumo, ad esempio l’elevato numero di veicoli venduti negli Stati Uniti (ad alta intensità di acciaio e alluminio) ad aprile 2021 (un livello mai registrato dal 2005, secondo il Bureau of Economic Analysis americano) e la vendita di nuove abitazioni negli USA che ha raggiunto il record degli ultimi 14 anni, il che comporta un elevato consumo tra le altre cose di legno e cemento. La domanda quindi è sostenuta, ma l’offerta non riesce a tenere il passo.
…ma l’offerta non riesce a stare al passo
La concomitanza di una impennata della domanda e una limitazione dell’offerta produce svariate conseguenze, tra cui l’effetto sui prezzi delle commodity. Come illustrato nel Grafico 1, molte commodity hanno registrato un aumento dei prezzi dall’inizio dell’anno, dovuto allo squilibrio tra domanda e offerta, alle condizioni climatiche, alle interruzioni indotte dal Covid-19, alle decisioni dell’OPEC+, ai disastri naturali e agli scioperi dei lavoratori presso siti produttivi sensibili. L’aumento dei prezzi delle commodity erode il margine dei produttori che hanno bisogno di materie prime per i propri processi produttivi. Lo squilibrio tra domanda e offerta non influenza solo le commodity ma anche il prezzo e la disponibilità dei beni intermedi (ad es. i semiconduttori) e della forza lavoro.
Spesso, di fronte a questa situazione complessa, le imprese non possono far molto altro che scaricare parte o tutto l’aumento sul consumatore, alimentando l’inflazione. In alcuni casi, non hanno altra scelta che ridurre la produzione (a fronte, tra l’altro, di una carenza di materiali e forza lavoro) o in casi eccezionali fermare temporaneamente la produzione (ad esempio i principali impianti industriali di fertilizzanti nel Regno Unito e il settore automotive). Secondo un sondaggio dei produttori europei, la carenza di materiali e/o attrezzature rappresenta il maggior limite alla produzione. Il Grafico 2 in basso mostra che si tratta di una situazione davvero eccezionale. A livello mondiale i settori più colpiti da tali carenze sono i settori dell’automotive, apparecchiature elettriche, materiali, trasporti e costruzioni.
Distanze maggiori durante le interruzioni della produzione a causa delle misure di contenimento del contagio da Covid
Secondo una analisi OCSE, la distanza percorsa dai prodotti importati è aumentata nel 2020. In parte ciò è dovuto ai ripetuti lockdown imposti nel mondo, che hanno influito sulla produzione. Di conseguenza la maggior parte delle società importatrici si sono rivolte alla Cina (e al Sud Est Asiatico) per supplire al vuoto di offerta creato dalle imprese occidentali/più vicine.
L’aumento della distanza percorsa dalle merci e la concorrenza tra importatori per assicurarsi il trasporto dalla Cina hanno perciò contribuito a far aumentare i costi di spedizione (vedi Grafico 3). Oltre a dover sostituire i propri fornitori, le aziende hanno difficoltà anche a spedire gli ordini, con ulteriore conseguente aumento dei costi. I trasporti globali continuano a essere afflitti da una mancanza di navi, ritardi e traffico bloccato ai porti a causa dell’aumento della domanda di trasporto merci, che a sua volta si traduce in mancanza di container, nonché delle problematiche indotte dal Covid-19 che impongono sporadiche chiusure delle attività portuali. La situazione si è ulteriormente aggravata con il blocco del Canale di Suez a marzo 2021 e la chiusura dei porti internazionali, come evidenziato dalla chiusura di un terminal del porto cinese di Ningbo ad agosto 2021.
Le tensioni geopolitiche pongono un ulteriore ostacolo
Le catene di approvvigionamento risentono moltissimo anche del contesto geopolitico. In particolare, la tecnologia, oltre alle carenze dovute alle forti problematiche tra domanda e offerta, è diventata una questione geopolitica, dove i semiconduttori si sono trasformati in un terreno di scontro tra USA e Cina con Taiwan nel mezzo. Gli USA hanno imposto delle sanzioni al settore, a volte a danno anche delle proprie industrie, per frenare lo sviluppo tecnologico cinese, spingendo le imprese a rivedere le proprie strategie logistiche.
Inoltre, a volte le catene di approvvigionamento non sono molto trasparenti, anche per i diversi stakeholder all’interno della stessa filiera, il che rende impossibile identificare le diverse strozzature e quindi capire come risolvere il problema. Inoltre, a seconda del settore, le catene di fornitura possono essere geograficamente molto diffuse, con moltissimi fornitori sparsi. Questo vale per esempio per le automobili, che richiedono più di trentamila parti di ricambio, il che rende la filiera ancora più complessa.
Livello basso delle scorte
Con l’interruzione delle catene di approvvigionamento, i prezzi salgono, la disponibilità di materiali di base o più sofisticati risulta inferiore e gli importatori competono tra loro per riempire il container più piccolo su una nave da cargo. Ne consegue che le scorte delle imprese sono a livelli bassi. Il Grafico 4 mostra che le aziende americane hanno 38 giorni di inventario (43 giorni in un anno “normale” come il 2019) e questo dato scende ulteriormente per i dettaglianti (33 giorni a luglio 2021 rispetto a 44 giorni in un anno “normale” come il 2019), mentre all’inizio della pandemia le scorte erano molto alte – dato lo scoppio inaspettato della pandemia da Covid-19.
Quali sono le conseguenze della interruzione della catena di approvvigionamento?
Nel breve termine è probabile che le interruzioni della catena di fornitura proseguano nel 2022, con la tendenza tuttavia a diminuire gradatamente. Qualunque nuova battuta d’arresto però potrebbe prolungarle fino al 2023. In generale, mentre le interruzioni delle catene di approvvigionamento potrebbero limitare la ripresa economica in atto, difficilmente la fermeranno, in quanto vi sono altri fattori in gioco, quali il maxi piano di interventi infrastrutturali negli USA, il Fondo Next Generation EU e la domanda sostenuta, che molto probabilmente riusciranno a controbilanciare gli effetti delle strozzature lungo le filiere.
Inoltre, la pandemia da Covid-19 e le relative conseguenze per la catena di approvvigionamento stanno inducendo le aziende a riposizionarsi. L’attuale modello di approvvigionamento just-in-time con diversi fornitori basati in diversi paesi ha mostrato alcune limitazioni. Oggi la questione della rilocalizzazione in patria (cosiddetto reshoring) della produzione industriale sembra guadagnare terreno (vedi Grafico 5). Sebbene il tema del reshoring non sia una novità – anzi era già stato discusso e in alcuni casi messo in atto da aziende come Ford, Whirlpool, Harley-Davidson e Universal Electronics, dopo la guerra commerciale avviata da Donald Trump – il Covid-19 ha agito da catalizzatore. Tuttavia, la transizione da una catena di fornitura globale ad una regionale richiederà sicuramente tempo, con molte differenze tra regioni.
Le barriere commerciali (ad esempio sussidi, tariffe, quote, normative, sanzioni) introdotte prima della pandemia a causa delle tensioni geopolitiche non sono destinate a scomparire presto. Anzi, nei prossimi anni tali pratiche potrebbero intensificarsi. Il trasferimento di apparecchiature e design tecnologici fra economie e imprese multinazionali in particolare potrebbe essere sempre più soggetto a interventi governativi. A sua volta ciò potrebbe indurre a sviluppare capacità produttive regionali, soprattutto nell’ambito della tecnologia (come dimostrato dai semiconduttori) e dei farmaci essenziali (come dimostrato dalla crisi sanitaria attuale).
La transizione verso catene di fornitura regionali e lo sviluppo di capacità produttive regionali dovrebbero avvenire attraverso nuovi investimenti in tecnologia (l’internet delle cose - IoT, 5G, intelligenza artificiale, ecc.) e in automazione. Interi settori potrebbero subire una ristrutturazione (ad esempio la distribuzione al dettaglio, l’automotive, l’industria aerospaziale), creando squilibri nel mercato del lavoro. Nel medio/lungo termine si può perciò prevedere una riallocazione del capitale e del lavoro su larga scala. L’adattamento potrebbe richiedere tempo e l’attuale transizione economica potrebbe durare molto più a lungo (come dimostrato dalla Brexit).
Analista: Matthieu Depreter – m.depreter@credendo.com